Pubblichiamo la relazione del Presidente Fabrizio Cesetti nell’ambito del convegno sulla riorganizzazione del servizio di erogazione idrica e di gestione dei rifiuti basato sull’introduzione di un’agenzia regionale unica, svoltosi venerdì 26 novembre a Fermo.

Nel Cantico delle Creature di S. Francesco, che rappresenta un inno alla vita, oltre ad una preghiera permeata da una visione positiva della natura, si legge: “Laudato si', mi' Signore, per sora Aqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta.”

Dunque l’acqua, un dono di Dio, ma anche un diritto inalienabile dell’uomo, così come l’aria che respiriamo. Così come l’aria non appartiene a nessuno altrettanto deve essere per l’acqua che va garantita a tutti come un diritto universale e non una merce.

Questo è ciò che si chiedono e ci chiedono le persone di buon senso: l’acqua bene comune, gestita senza logiche di profitto, come un’azienda pubblica al pari della sanità e della scuola. E’ bene sottolineare la differenza che esiste tra bene pubblico e bene comune; entrambi possono essere gestiti da enti pubblici, ma il bene comune è essenziale alla vita, è inalienabile.

La qualità della nostra vita e della salute, che di questa è parte, è direttamente correlata con la facilità di accesso ed alla qualità dell’acqua, ma, e non bisogna mai dimenticarlo, l’acqua dolce disponibile è meno del 2% dell’acqua che ci circonda da ogni parte.

Se pensiamo a tutto ciò comprendiamo chiaramente che l’acqua è di tutti e che l’accesso all’acqua conseguentemente deve essere un diritto umano fondamentale, che l’acqua non può essere negata a chi è privo di mezzi economici; che va rispettata come bene preziosissimo, non rinnovabile, da usare con parsimonia e cura.

Dobbiamo riflettere sul dovere morale che abbiamo di salvaguardare questo nostro bene per noi, per le generazioni future e per quei cittadini del mondo che non possono godere di questo diritto.

Deve essere chiaro a tutti che non si può usare l’acqua per fare profitti o per risanare bilanci.

È sulla base di queste fondamentali considerazioni che deve svolgersi il dibattito di oggi perché, se è vero che i risultati prodottisi nella pratica attuazione della legge Galli non sono stati quelli sperati (poiché le gestioni sono rimaste frammentate, gli sprechi non sono stati recuperati, la gestione degli scarichi e la costruzione dei depuratori ha fatto progressi minimi), tuttavia  le soluzioni gestionali proposte successivamente dal legislatore attraverso la magmatica produzione normativa relativa ai servizi pubblici locali ed al servizio idrico in particolare, fino a giungere all’ultimo testo dell’art. 23 bis del D.L. 112/2008, come modificato dal recente “decreto Ronchi” del 2009, certamente non ci lascia per niente soddisfatti.

Se tante e diverse tra loro sono le iniziative per modificare l’assetto proposto, forse sarebbe il caso che anche il nostro legislatore riflettesse sulla opportunità delle scelte operate.

Invero, le affermazioni in linea di principio  della proprietà pubblica dell’acqua e della garanzia del diritto alla universalità ed accessibilità del servizio, contenute nel decreto Ronchi, da sole non bastano a assicurare tali risultati, ma, soprattutto, la garantita autonomia gestionale del soggetto gestore, da scegliersi secondo le forme indicate dall’art. 23 bis del D.L. 112/2008 (Brunetta), ovvero secondo le forme ordinarie di affidamento dei servizi pubblici locali, e la possibilità quindi dell’affidamento in appalto, ovvero a società mista pubblico privata, in cui il socio privato sia anche socio operativo con quota non inferiore al 40%, favoriscono molti dubbi sulla possibilità di realizzare quegli obiettivi di tutela dell’acqua come bene comune, libero ed universale, a cui sopra “francescanamente” accennavo.

Tanto più che le recenti riforme normative sopra citate nulla hanno innovato rispetto al comma 12 dell’art. 113 del TUEL che contiene la disciplina generale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, il quale afferma che: “12. L'ente locale può cedere in tutto o in parte la propria partecipazione nelle società erogatrici di servizi mediante procedure ad evidenza pubblica da rinnovarsi alla scadenza del periodo di affidamento. Tale cessione non comporta effetti sulla durata delle concessioni e degli affidamenti in essere”.

Si converrà  quindi che il problema, proprio per la sua complessità, richiede  un approccio tecnico piuttosto approfondito che non può risolversi con mere affermazioni di principio, anche se contenute in una legge, come hanno fatto diverse regioni italiane, la Liguria, la Campania e, recentemente, anche le Marche, nel comma 2 dell’art. 40 della legge di assestamento di bilancio 2010, secondo cui “il servizio idrico integrato… non rientra tra i servizi pubblici a rilevanza economica”.

Tali affermazioni hanno infatti avuto vita breve in quanto stroncate da una recente sentenza della Corte Costituzionale, la 325 del 17 novembre 2010, la quale ha affermato  con assoluta chiarezza che la competenza a qualificare e disciplinare il servizio idrico integrato regionale come privo di rilevanza economica non appartiene alle regioni bensì allo Stato, riconoscendo quindi piena validità della normativa statale sopra citata in quanto espressiva del tema “della tutela della concorrenza” che la Costituzione attribuisce all’esclusiva competenza legislativa statale.

Tuttavia proprio da tale sentenza possiamo prendere le mosse per avviare un’azione coordinata che induca il legislatore nazionale a rivedere le sue posizioni perché, dice la Corte proprio in questa circostanza,che le norme dell’art. 23 bis del “Brunetta” e dell’art. 15 del “Ronchi”  “non costituiscono né una violazione né un’applicazione necessitata della normativa comunitaria ed internazionale ma sono semplicemente con questa compatibili, integrando una delle discipline possibili della materia che il legislatore avrebbe potuto legittimamente adottare.”

Quindi, è stata una scelta del legislatore italiano quella di stabilire un tale regime giuridico per la disciplina della gestione del servizio idrico integrato, così come del servizio integrato del ciclo dei rifiuti.

Infatti negli atti istitutivi dell’Unione Europea si leggono importanti affermazioni di principio in tal senso.

Il Trattato dell’Unione Europea distingue i servizi di interesse generale dai servizi di interesse economico generale.

L'art. 14 del Trattato  sottolinea l'importanza dei servizi di interesse economico generale nell'ambito dei valori comuni dell'Unione, ma anche il loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale.

Per "servizi di interesse generale" si intendono, invece, i servizi non di mercato, che le autorità pubbliche considerano di interesse generale e assoggettano a specifici obblighi di servizio pubblico (Vedi il Libro verde sui servizi di interesse generale).

In proposito, il Parlamento europeo, nella Risoluzione sul libro bianco dei servizi di interesse generale del 27/09/2006, sottolinea che rientra nella discrezionalità dell'autorità competente decidere se gestire direttamente un servizio di interesse generale attraverso una sua unità o se affidarlo a fornitori esterni, con o senza scopo di lucro, esercitando un controllo analogo a quello esercitato sui servizi direttamente erogati.

Sempre gli stessi ordinamenti comunitari, "conferiscono alle autorità [nazionali] competenti il diritto di scegliere le migliori modalità per la prestazione di ciascun servizio, tenendo conto dell'interesse pubblico".

In particolare il Protocollo n. 26 al citato Trattato di Lisbona, denominato, appunto, Protocollo sui servizi di interesse generale, contiene l’importante affermazione che "Le disposizioni dei trattati lasciano impregiudicata la competenza degli Stati membri a fornire, a commissionare e ad organizzare servizi di interesse generale non economico".

Lo stesso Trattato di Lisbona conferma la distinzione comunitaria fra servizi di natura economica e servizi di natura non economica e la loro rispettiva soggezione a regimi giuridici differenti, e tuttavia evita ancora una volta di giungere ad una definizione, sia della nozione di servizio di interesse generale, che di servizio di interesse economico generale, poiché una indicazione puntuale sarebbe contraria alla libertà, riconosciuta agli Stati membri, di definire, a loro volta, i loro servizi di interesse generale.

Si deve convenire pertanto che l'individuazione, ad opera del legislatore interno, del servizio idrico integrato (come del servizio di gestione rifiuti) in termini di servizio di rilevanza economica, costituisce una libera scelta del legislatore italiano e, nello specifico, del Governo nazionale (decreti Brunetta e Ronchi).

È su questo fronte che le Autonomie Locali devono agire con forza perché tale orientamento muti, almeno per questi due servizi, per i quali è essenziale che, non solo il governo della risorsa, ma anche la sua gestione rimangano nella diretta mano pubblica nelle forme dell’in house providing ovvero anche nella forma dell’azienda speciale di cui all’art. 114 del TUEL.

Del resto anche lo stesso Legislatore nazionale qualche perplessità l’ha avuta quando ha redatto il regolamento attuativo in materia di servizi pubblici locali, previsto dal più volte citato art. 23 bis (DPR 7/09/2010 n. 168), prevedendo un regime in parte singolare per il servizio idrico integrato, per autorizzare l’affidamento in house.

Dunque è su questo fronte nazionale che vanno concentrati gli sforzi di tutti coloro che ritengono che l’acqua e, dico io, anche il servizio di gestione del ciclo integrato dei rifiuti, siano servizi di interesse generale e primario della collettività per i quali va esclusa la rilevanza economica in quanto ciò che qualifica un'attività come economica non è solo il fine produttivo cui essa è indirizzata, ma anche il metodo con cui è esercitata.

Pur dovendosi garantire anche per questi servizi una gestione, efficiente, efficace ed economica, nel caso di specie queste attività non debbono primariamente tendere a remunerare i fattori produttivi utilizzati ed a generare una potenziale redditività rispetto alle risorse imprenditoriali impiegate, bensì ai soddisfare diritti inalienabili dei cittadini.

Ecco dunque l’invito alle Autonomie Locali ad agire unitariamente e con forza perché queste istanze trovino adeguata considerazione a livello parlamentare e governativo.

Con riguardo a questi argomenti alcune valutazioni si impongono anche sulla proposta di legge regionale, ad iniziativa della Giunta, diretta alla riorganizzazione a livello regionale del servizio idrico e del servizio di gestione dei rifiuti in attuazione della legge finanziaria 2010 (legge 191 art. 2 comma 186 bis) che ha disposto la soppressione degli ATO entro la fine del corrente anno  demandando  poi alle regioni il compito di dettare norme per l’attribuzione delle funzioni già esercitate dagli stessi ATO.

Nell’assolvere a questa competenza tuttavia la regione non può ignorare un’altra disposizione di legge ovvero l’art. 2 comma 38 della legge 244/2007 (legge finanziaria 2008) che nella delimitazione degli ambiti [territoriali ottimali] impone alle regioni di valutare in via prioritaria i territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali ai fini dell'attribuzione delle funzioni in materia di rifiuti alle province e delle funzioni in materia di servizio idrico integrato di norma alla provincia corrispondente.

Non si condivide quindi la scelta della costituzione di un altro organismo regionale, l’Agenzia Regionale per il Servizio Idrico e la Gestione dei Rifiuti (ARSIR), che costituirà una ulteriore fonte di spesa, impegnando la regione in una attività gestionale che non gli è propria, avendo essa essenzialmente funzioni di legislazione e programmazione, spettando la gestione amministrativa ai comuni ed alle province secondo i principi di sussidiarietà ed adeguatezza sanciti dalla Costituzione.

Auspichiamo, quindi, che la Regione non voglia mortificare le province, che già gestiscono una pluralità di servizi,  inventandosi strani modelli gestionali che non danno garanzia di efficienza, aumentano i costi di gestione in violazione di una legge dello Stato.

Perché non si individuano le province come autorità d’ambito competenti allo svolgimento di tutte le funzioni prima affidate agli ATO dagli artt. 148 e 201 del D.Lgs 152/2006 (Codice Ambiente), lasciando tuttavia ai sindaci i reali poteri di governo sia delle risorse idriche che del ciclo dei rifiuti, attraverso la semplice previsione di un ruolo più incisivo e pregnante della Conferenza Provinciale delle Autonomie di cui all’art. 3 della legge regionale 46/1992, oggi praticamente asfittiche.

Al fine di tutelare il giusto ruolo di governo dei servizi da parte dei Comuni è sufficiente che la legge regionale assegni alla Conferenza provinciale delle autonomie il ruolo di:

a.    Approvazione dei piani d’ambito;

b.    Adozione dello schema di convenzione per affidamento della gestione del servizio;

c.    Adozione del contratto di servizio;

d.    Adozione della carta dei servizi;

e.    Determinazione delle tariffe d’ambito;

f.    Approvazione degli accordi di programma per la realizzazione delle opere e dei programmi di intervento necessari per la gestione del servizio;

g.    Controllo sull’attività del soggetto gestore rispetto al raggiungimento degli standard qualitativi e quantitativi e tariffari stabiliti dalla stessa Conferenza delle autonomie e verifica del rispetto del contratto di servizio e della carta dei servizi;

mentre la Provincia avrebbe assicurato la gestione amministrativa senza alcun onere aggiuntivo per la finanzia pubblica.

Per tutte tali ragioni si richiede alla Giunta regionale di rivedere la scelta operata con l’auspicio che l’Assemblea legislativa sappia correggere nel senso sopra indicato tale proposta che va in direzione diametralmente opposta rispetto ai proclami di semplificazione organizzativa e di risparmio economico che fino ad ora ha saputo così bene assecondare in queste circostanze così grame per le finanze pubbliche.

(foto gentilmente concesse da Fabrizio Zeppilli - www.zeppilli.it)